Sud Peloponneso, settembre 1986: superata Kalamàta e la sua baia, odorosa di olio e di sansa, percorse con stupore e tristezza le vie con i segni del recente terremoto,  la strada si inerpicava tra rocce e boschi; arrivati in alto sostavamo a gustare il miele di timo che un anziano vendeva ai rari passanti, all’ombra di una quercia, nell’aria profumata di erbe e resine; il Taigeto era là, a cavallo dei due golfi, alla base del Mani, descritto con immaginosa sapienza dal nostro “Paddy”, Patrick Leigh Fermor; la discesa fino a Mistràs con le ultime relique imperiali romane, poi Sparta di cui non vi è più traccia, e Gythion, tranquilla baia con polpi appesi ad asciugare.

Il Taigeto, magnifico monte tra Messenia e Laconia, catena nord/sud di rocce grigie, come sospeso tra cielo e mare nel mondo del mito, è una dorsale che presenta cinque “nocche” di una mano, da quì il nome di Pentedàktilo. Il profeta Ilias sarebbe stato portato in cielo da questa cima che raggiunge i 2407 metri; il 19 e 20 luglio su questa spettacolare vetta si svolge un pellegrinaggio religioso che vede presenti un centinaio di fedeli. La bellezza della montagna non si limita alla sua vetta, la discesa verso il mare offre panorami dai grandi orizzonti, per raggiungere piccoli paesi pieni d’atmosfere antiche come Kardamyli.

Partiti da Neapolis, un breve tratto di strada ci ha portato al sentiero per la chiesetta di Aghia Irini a picco sul mare, sul versante sud del Maleas: la vista spazia su tutto il golfo di Laconia e a sud su Citèra; un bivio verso nord ci ha portato invece a Velanidia (le querce, toponimo presso Reggio) dove parte il sentiero che raggiunge il solitario, leggendario faro delle tempeste.

Nave per Citéra, vivevamo ancora l’innocenza.

La navigazione quel giorno era tranquilla; il braccio di mare tra Gythion e l’isola attraversa il golfo di Laconia, stretto tra i due promontori di capo Tenaro e capo Maleas, confine tra Ionio ed Egeo. Il tanto temuto Maleas era ormai lontano…