Poche piante hanno contribuito a mutare il paesaggio mediterraneo come l’arancio, forse solo l’ulivo e la palma e , naturalmente l’altro coltivatissimo “citrus”, il limone. Prima di parlare delle tante varietà, del suo valore economico e culturale, proviamo a conoscere questi agrumi fratelli ma dissimili a partire dalla storia della loro diffusione geografica.

L’ arancio amaro, citrus aurantium L. detto anche melangolo, ha avuto un percorso simile a quello degli altri agrumi importati nel Mediterraneo dagli Arabi. E’ originario dell’Asia sudorientale (fu ritrovato da J.Hooker ai piedi dell’Himalaya, nel Sikkim e fino al Bengala). Esiste un nome sanscrito per definirlo, nagarunja, da cui derivano tutti gli altri appellativi (hindi: narungee; arabo: narunji; italiano: naranzi, aranci). E’ interessante notare che gli attributi sanscriti legati al suo nome sono riferiti al colore e non descrivono mai il sapore dolce, il che lascia intuire che l’unica varietà allora nota fosse quella amara (anche gli arabi in seguito descrivono solo quello dal succo amaro).
Secondo l’erudito arabo Massoud l’albero giunse dall’ India nel Mediterraneo dopo il 920, attraverso l’Oman, la Persia, l’Asia minore e l’Egitto. San Giovanni Damasceno, dottore delle chiesa vissuto tra il VII e l’VIII°  secolo a Damasco, e il medico e scienziato arabo Avicenna, in Andalusia all’inizio dell’XI° secolo, lo citano. Nel X° e XI° secolo venne impiantato in tutto il Mediterraneo arabo. Alberto Magno (1193-1280) è il primo autore europeo a menzionarlo con il termine arangus, e pare che il primo albero piantato a Roma fu nel giardino del convento di Santa Sabina all’Aventino da Domenico Guzman, poi San Domenico, nel 1218. Il “Giardino degli aranci” dell’Aventino ha quindi 802 anni !
Venne coltivato immediatamente anche nel Mediterraneo settentrionale, per il suo straordinario fascino decorativo (il Mattioli nel XVI° secolo fornisce una significativa quanto errata etimologia del nome, come derivante da aurantia poma cioè pomi d’oro) e per il conturbante e sensuale profumo dei suoi fiori, le zagare. Giardini e chiostri furono decorati con questa pianta al tempo ancora esotica, che da allora venne utilizzata per trarne essenze da profumo, e fino al XVI° secolo quella amara fu l’unica specie di arancio conosciuta nel Mediterraneo; dopo l’introduzione dell’arancio dolce la sua coltivazione è stata progressivamente ridotta. Primavera-Botticelli-analisi
Sandro Botticelli dipinge nel 1480 la famosissima “Primavera” in cui la rappresentazione è fortemente simbolica della rinascita del mondo che esce dall’inverno. Il tiepido Zefiro soffia da occidente, dove, sui monti dell’Atlante, è situato il mitico giardino delle Esperidi e feconda la ninfa Flora, che in tutta la sua bellezza sparge i fiori nella natura; la scena è rappresentata in un bosco di arancio amaro con i suoi pomi d’oro e le sue zagare profumate, circondata da Venere, Mercurio e le Grazie, simboleggiando prosperità e sensualità.
Oltre all’aspetto estetico e al suo impiego nell’architettura dei giardini, oggi l’arancio amaro ha un utilizzo officinale nella preparazione di profumi e sostanze farmaceutiche. Dalla buccia e dal frutto si estrae l’olio che ha proprietà lipolitiche, in quanto contiene la sinefrina, molecola simile all’efedrina. Il suo uso farmaceutico riduce il colesterolo e i trigliceridi.
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Un importante uso della zagara è l’estrazione per ottenere l’olio di Neroli, conosciuto dalla sua introduzione in Francia dal principe Orsini di Nerola nel 1680, usato dalla moglie del principe e poi divenuto di grande pregio. L’ olio di Neroli, oltre  al suo meraviglioso profumo, ha effetto sedativo ed è utile per curare l’ansia e l’insonnia. Ancora, dalle foglie per distillazione si estrae un’acqua di profumo e liquori. L’assoluta di fiori si ottiene con la tecnica dell’effleurage, e poi distillando in etere la concreta ottenuta: a differenza del neroli il profumo è più intenso e persistente. Infine dall’insieme di foglie, fiori e frutti acerbi si ottiene il distillato detto petit grain (piccoli frutti).   Tutte le case profumiere internazionali usano queste essenze, prodotte prevalentemente in Provenza, Sicilia e Calabria.
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