Poche piante hanno contribuito a mutare il paesaggio mediterraneo come l’arancio, forse solo l’ulivo e la palma e , naturalmente l’altro coltivatissimo “citrus”, il limone. Prima di parlare delle tante varietà, del suo valore economico e culturale, proviamo a conoscere questi agrumi fratelli ma dissimili a partire dalla storia della loro diffusione geografica.
Va detto comunque che al giorno d’oggi usiamo comunemente parlare di arance amare, di arance (per definire i diffusissimi frutti dell’arancio dolce), e di arance dolci (per definire i frutti dolcissimi della varietà di arance dolci vaniglia, piuttosto rare).

L’ arancio dolce, citrus aurantium sinensis, Engler, Osbeck, non proviene dalla stessa zona di origine degli altri agrumi. La sua importazione fu molto più tarda e non seguì certamente le stesse vie: un frutto così squisito e attraente avrebbe senza dubbio lasciato traccia nella letteratura di viaggio e commercio. Ebbe invece origine nella Cocincina (Indocina) e si diffuse solo tra il XIV° e XV° secolo sulla costa indiana del Bengala.
indocina
La sua introduzione in Europa si deve ai portoghesi e ai loro viaggi commerciali in oriente. Intorno al 1510 si stabilirono a Goa, nel Kerala e a Sri Lanka, raggiungendo la Cocincina.Il primo albero importato in Europa di cui si ha notizia fu piantato nel 1548 nel giardino del conte di San Lorenzo a Lisbona. Il gesuita Lecomte, nei suoi Nouveax memoires sur l’état presénte de la Chine (Paris, 1679), ci riporta che “on le nome orange de la Chine, parceque celle que nous vimes puro la premierefois en avaient été apporté.  Le première et unique oranger , duquel on dit quelles sont tout venues, se conserve encore a Lisbonne dans la maison du comte            S. Laurent, et c’est aux Portugais que nous sommes redevable d’un si excellent fruit”.
Giovanni Battista Ferrari, gesuita senese nel suo magnifico testo “De Florum Cultura” pubblicato a Roma nel 1633 lo chiama aurantium olisiponense (di Lisbona) e aggiunge che venne spedito da Lisbona a Roma per la prima volta ” ad Pios et Barberinos hortos”.  Lo descrive poi nella sua opera “Hesperides”, sugli agrumi, edita nel 1646.  Nel Mediterraneo non si hanno notizie dell’arancio dolce prima del 1600. E’ interessante ricordare che Vasco de Gama in viaggio nelle Indie, nel 1498 riceve in omaggio a Calicut delle arance dolci. Andrea Navagero, ambasciatore della Serenissima presso il Re di Spagna, in un suo libro edito nel 1525 narra degli alberi prodigiosi di arancio presenti nel giardino del Re a Siviglia, aranci dai frutti dolci!

Aurantium, da Hesperides di G.B.Ferrari, 1646

Aurantium, da Hesperides di G.B.Ferrari, 1646

La coltivazione dell’arancio dolce si sviluppò enormemente su tutte le coste mediterranee a partire dal XVI° secolo, caratterizzandone e rivoluzionandone il paesaggio; il suo percorso, al contrario degli altri agrumi, partì dal Portogallo e si diffuse dal mondo cristiano a quello islamico, da ovest verso est. Non a caso in Italia meridionale si chiama portuallo e in Grecia portokali.
(in preparazione….giardini di arancio)
Oggi l’arancio dolce viene coltivato in tutto il mondo, alle latitudini subtropicali e nei climi temperati, e costituisce uno dei prodotti agricoli più diffusi e redditizi. Darò un breve resoconto della sua importanza commerciale con i dati  sulla produzione italiana ed in particolare calabrese e siciliana.

Gli agrumi in Italia
L’agrumicoltura italiana nel 2012 contribuisce alla ricchezza del paese con un valore delle proprie produzioni, ai prezzi di base, che si attesta intorno a 1,4 miliardi di euro, incidendo per poco meno di un terzo del valore complessivo della frutta (fresca e secca).
Nel suo insieme il comparto agrumicolo contribuisce a poco meno del 3% del valore dell’agricoltura nazionale, attestandosi su livelli sostanzialmente analoghi a quelli riscontrati alla fine degli anni ’90 del secolo scorso.
L’agrumicoltura, nelle sue connotazioni storiche e attuali, si ca- ratterizza per una marcata polarizzazione nelle regioni meridionali della penisola e nelle isole, pur non mancando areali di coltiva- zione, di interesse non trascurabile, al di fuori di questi territori (Liguria, Lombardia ecc.).
Il comparto agrumicolo nazionale, nell’ultimo ventennio, è stato interessato da notevoli cambiamenti che hanno coinvolto sia l’of- ferta sia la domanda. Tali mutamenti, non diversi da quelli regi- strati in altri comparti produttivi, hanno riguardato l’aumento dei prezzi reali del lavoro e degli input impiegati, l’inasprimento delle politiche fiscali e previdenziali, una marcata riduzione dei prezzi alla produzione e il concomitante smantellamento delle politiche comunitarie (in termini di tutela e di sostegno). Le difficoltà del comparto sono andate accentuandosi soprattutto negli ultimi 5-10 anni, sconfinando in situazioni di pesante squilibrio tra costi e ricavi, soprattutto nella fase produttiva (specialmente per limoni e mandarini). Questo ha generato una graduale disattivazione dei processi di produzione nell’intera agrumicoltura nazionale e, in ta- lune aree marginali, persino l’abbandono della coltivazione, con effetti sfavorevoli sulle produzioni, sui redditi e sull’occupazione dell’intera filiera agrumicola nazionale. Tuttavia, anche in una fase certamente non favorevole, gli operatori del comparto hanno co- munque reagito attraverso l’introduzione di un’ampia gamma di innovazioni di processo, di prodotto e di tipo organizzativo, mirate sia al contenimento dei costi di produzione sia agli adattamenti generati dall’evoluzione della domanda, sempre più caratterizzata da prodotti differenziati (tanto per il “fresco” quanto per i trasformati).

In Italia le superfici agrumetate, nel 2012, si attestano intorno ai 170.000 ettari, con una netta preponderanza di quelle arancicole (60,1%), seguite a notevole distanza dai “piccoli frutti”, clementine e mandarini (22,2%), dai limoni (16,2%) e dalle “altre” (bergamotto, pompelmo ecc.) (1,1%).
Le produzioni nel quadriennio 2008-2012 si attestano intorno ai 3,9 milioni di t, distribuendosi sostanzialmente con gli stessi ordini di grandezza delle precedenti, con il primato delle arance (63,3%), seguite dal gruppo dei “piccoli frutti” (21,9), dai limoni (13,9%) e dagli “altri” agrumi (0,9%).
Riguardo alla distribuzione geografica degli investimenti, la Sicilia assume saldamente il ruolo di leader nazionale (55,8%), con qua- si 95.000 ettari coltivati, seguita a notevole distanza dalla Calabria (25,6%), con poco più di 43.000 ettari investiti. Meno sviluppata l’agrumicoltura in Puglia (6,6%), con poco più di 11.000 ettari, in Sardegna (4,8%) e in Basilicata (4,7), dove si coltivano appena oltre 8000 ettari. La Campania (2%) si colloca al sesto posto con oltre 3000 ettari. Residuale l’agrumicoltura nelle altre regioni d’Italia (0,6%), con meno di 1000 ettari di coltivazione.
Con riferimento alle produzioni, si rileva che i risultati dell’ultimo quadriennio (2008-2012) mettono in luce che la Trinacria confer- ma il proprio primato con più di 1,8 milioni di t di agrumi realizzati (47,4%), seguita dalla Calabria con circa 1,4 milioni di t (37,1%). Anche in questo caso segue, molto indietro, la Puglia con 280.000 t (7,2%) e, ancora oltre, la Basilicata con quasi 160.000 t (4%), la Sardegna con 86.000 t (2,2%), la Campania con meno di 70.000 t e le altre regioni, nelle quali si producono non più di 9000 t di agrumi (0,2%).
Superfici e produzioni agrumarie in Italia per specie
Specie
2012
2008-2012
ha
%
000 t
%
Aranci
102.191
60,1
2460,5
63,3
Limoni
27.561
16,2
541,1
13,9
Mandarini
9331
5,5
147,3
3,8
Clementine
29.183
17,2
701,5
18,1
Altre
1836
1,1
34,2
0,9
TOTALE
170.102
100
3884,7
100
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT.

 L’arancio in Sicilia

L’introduzione degli agrumi in Sicilia, con l’arancio amaro, si fa risalire al IX-X secolo, mentre l’arancio dolce fu introdotto dai por- toghesi e dai genovesi intorno al 1500. Più recente (inizi del XIX secolo) è la diffusione del mandarino comune, proveniente dalla Cina come pianta ornamentale; solo nella metà dell’Otto- cento furono realizzati i primi impianti a fini commerciali.
La coltivazione degli agrumi si è diffusa con notevole facilità in Sicilia, dove ha trovato condizioni pedoclimatiche ideali per pro- duzioni di particolare pregio.
Gli agrumi coltivati nell’isola oggi sono concentrati prevalentemente lungo le fasce costiere tirrenica e ionica, nella Piana di Ca- tania e in un breve tratto della costa meridionale, da Campobello di Mazara a Ribera.
L’arancio, anche se interessa tutte le province, è concentrato per oltre il 40% delle superfici regionali nei territori di Catania, Siracu- sa, Enna e Agrigento. L’areale più importante è la Piana di Catania, con la coltivazione delle varietà pigmentate (Tarocco, Moro e Sanguinello), di grande interesse economico per gli operatori del- la filiera agrumicola siciliana. La disponibilità, negli ultimi anni, di nuovi cloni di Tarocco ha consentito l’ampliamento del calendario di produzione, con una raccolta che parte a dicembre per conti- nuare fino a giugno. Produzioni di elevata qualità sono presenti nell’area Palagonia-Scordia, caratterizzata da impianti piuttosto giovani e produttivi (Sanguinello e Tarocco).
La provincia di Enna, dal punto di vista colturale, è un’appendice dell’areale catanese, con caratteristiche e problematiche simili. Nel siracusano, la coltivazione dell’arancio interessa il territorio compreso tra Carlentini, Lentini e Francofonte.
L’eccellente qualità del prodotto ha permesso il riconoscimento con marchi come l’Arancia Rossa di Sicilia IGP, che comprende diverse varietà tra cui il Tarocco, il Moro e il Sanguinello. Il territorio di coltivazione si estende nelle province di Catania e Siracusa.
Di indubbio interesse è la produzione di arance bionde ombelica- te, o Navel, in provincia di Agrigento (Ribera e Sciacca); la varietà più diffusa è la Washington Navel, molto apprezzata sui mercati del Nord Italia.
Le particolari condizioni ambientali hanno favorito lo sviluppo di un prodotto di qualità riconosciuto dal marchio Arancia di Ribe- ra DOP, che comprende le varietà Brasiliano, Washington Navel e Navelina, coltivate nella provincia di Agrigento e una piccola appendice in provincia di Palermo.

Piana di Catania e le arance rosse

• La Piana di Catania, estesa per circa 43.000 ettari, di origine alluvionale, caratterizzata dalla “convivenza” delle colate laviche e della vegetazione in continua mutazione proprio a causa della lava, è una delle zone più calde d’Europa. Nella Piana, dai catanesi denominata “Chiana”, si trovano l’Oasi del Simeto e un’oasi protetta quale il Parco dell’Etna, oltre alla riserva marinara dei faraglioni ad Aci Trezza. La Piana ha una predisposizione naturale alla coltivazione degli agrumi, in particolare delle arance, con terreni fertilissimi vocati a una produzione agrumicola mediamente alta. Il microclima tipico della zona di Catania fa sì che le arance rosse abbiano un gusto, un colore e proprietà salutistiche e vitaminiche unici al mondo. Il clima secco con forti escursioni di temperatura tra il giorno e la notte nel periodo di maturazione, tra ottobre e dicembre, consente la produzione delle antocianine che sono alla base della colorazione rossa. Per quanto riguarda le cultivar, il Moro è l’arancia più ricca di tali sostanze e quindi la più pigmentata, seguita dal Sanguinello e infine dal Tarocco.

Aranceti nella Piana di Catania

Aranceti nella Piana di Catania

L’arancio in Calabria
La regione è seconda solo alla ben più vasta Sicilia per la produzione di arance.  La superficie coltivata, di ben 43.000 ettari, è pari a quella dell’intera Piana di Catania. In provincia di Reggio gli aranceti sono particolarmente diffusi sullo Stretto e nella Piana di Gioia e Rosarno, mentre sulla fascia costiera ionica, fino a Monasterace, si coltiva prevalentemente il redditizio bergamotto. Come in tutte le aree agrumicole storiche sono presenti varietà tipiche di arancio, tra le quali si ricorda il Biondo San Giuseppe, una particolare selezione del Belladonna che riesce a conservarsi bene sulla pianta fino al mese di giugno, che ha il suo habitat nelle vallate di Catòna e Gàllico presso Reggio.

Arancia di San Giuseppe

Arancia di San Giuseppe

Accanto alle tradizionali  varietà Tarocco e Ovale, vi è la recente diffusione della Navel, impiantata nell’area di Rosarno, che riscuote grande successo.

arancia Navel ombelicata

arancia Navel ombelicata

Nel catanzarese la parte più rappresentativa è la costa tirrenica dove alle coltivazioni di arancio e clementine, nel corso degli anni, si è affiancata un’attività vivaistica, che ha rappresentato un punto fermo per la produzione di materiale di propagazione sia varietale che portinnesti.
L’agrumicoltura più dinamica in quanto legata al mercato di consumo, pertanto in continuo aggiornamento varietale, è quella dell’arco ionico cosentino, in particolare nella Piana di Sibari. In questa zona si hanno ottime produzioni di arance ma anche di altri agrumi di maggior pregio, come il clementine, tanto da primeggiare come area a livello nazionale per superficie coltivata.

La coltivazione degli agrumi in Puglia è presente principalmente lungo l’arco ionico tarantino e leccese; una coltivazione di nicchia si pratica nel Gargano, con varietà tipiche locali. L’agrumicoltura si concentra quasi esclusivamente sull’arancicoltura, diffusa su oltre 6000 ettari, e sulla clementinicoltura, che interessa quasi 4800 ettari.La diffusione dell’agrumicoltura in coltura specializzata nell’area tarantina si fa risalire agli inizi del 1900, anche se dell’introduzione di tali frutti in questa zona si ha menzione con tutta probabilità già nel 1700. La scarsa disponibilità idrica ha condizionato la diffusione di questo gruppo di specie, ma è dopo gli anni ’50 che si assiste all’espansione e specializzazione della coltivazione di agrumi, grazie alla riforma fondiaria, che ha consentito di mettere a disposizione degli agricoltori adeguate risorse idriche.Nel tarantino la coltivazione, concentrata nei comuni di Massafra, Palagiano, Palagianello, Castellaneta e Ginosa, vede primeggiare il clementine, con un calendario di maturazione che parte da ottobre per protrarsi a marzo con le varietà tardive. Per l’arancio prevale il Navelina, mentre per il clementine spicca il Comune. Per quanto riguarda i portinnesti prevale l’arancio amaro.  Nel leccese l’incidenza agrumicola non è particolarmente rilevante, però in passato diversi sono stati gli investimenti arancicoli e clementinicoli, che hanno consentito il conseguimento di produzioni di qualità, viste le condizioni ambientali miti che permettono di ottenere produzioni precoci.

Basilicata
Nel Metapontino, territorio che ha visto la colonizzazione greca e con questa una fiorente attività agricola, il clima particolarmente mite consente la coltivazione dell’arancio, soprattutto Navel, e del clementine. La coltivazione degli agrumi ha origini antiche, dato che sembra siano stati gli arabi a introdurli nelle valli dell’Agri e del Sinni, dove trovarono condizioni idonee di coltivazione grazie alla disponibilità di risorse idriche.  Anche in questa regione l’agrumicoltura interessa quasi esclusivamente l’arancio, principalmente Navelina, ma anche Staccia, vecchia varietà con frutti molto succosi e dalla forma schiacciata, su poco meno di 6000 ettari, e il clementine, con cloni a maturazione precoce, intermedia e tardiva, messo a coltura su oltre 2000 ettari. Un’agrumicoltura destinata al consumo fresco deve soddisfare le esigenze del consumatore, per cui nell’ultimo decennio sono state inserite nuove varietà di agrumi a frutto piccolo, a matura- zione precoce e tardiva. La presenza di condizioni pedoclimatiche vocate, nonché acque irrigue di buona qualità, hanno permesso il ricambio del portinnesto, per cui si è passati dall’arancio amaro ai citrange.

La sagra dell’arancia di Montalbano Ionico
•Montalbano Ionico si sviluppa su una collina costituita da rilievi argillosi, situata a una quindicina di chilometri dalle rive del mar Ionio, a un’altezza di 292 m s.l.m. L’area calanchiva sulla quale si sviluppa il centro abitato rappresenta una delle zone paesaggistiche più suggestive e spettacolari della Basilicata, riconosciuta riserva naturale, che comprende i vecchi giardini con cultivar di arancio locali
• La sagra, si svolge nel periodo invernale. La caratterizzano convegni con interventi specifici sull’agrumicoltura del litorale ionico e delle valli dell’Agri e del Sinni, laboratori del gusto e di educazione alimentare. A margine della sagra viene assegnato il premio “Arancia d’oro”ai montalbanesi che si sono distinti nell’attività svolta

Le varietà tradizionali dell’agrumicoltura lucana

Si hanno notizie di coltivazioni di agrumi, e in particolare di aranci amari, nella zona di Tursi e Montalbano Ionico in una pubblicazione datata 1843.
Altri citano i superbi giardini dove si coltivano aranci che non hanno niente da invidiare sia per dolcezza sia per grossezza a quelli di Sorrento e Palermo.
Da questi documenti si evince che queste zone della Basilicata sono particolarmente vocate e specializzate nella coltivazione degli aranci. Nel secolo scorso sono stati selezionati diversi ecotipi a polpa bionda e maturazione tardiva (Biondo o Golden

di Montalbano e Biondo o Golden di Tursi). Particolare è l’arancia “Staccia” (u’ stacc in dialetto), nome che deriva da un vecchio gioco che ha origini molto antiche, simile al gioco delle bocce ma fatto con pietre piatte dette “stacce” (dal greco straki), da cui prende il nome questa varietà del gruppo delle arance bionde, con frutto di forma oblata, fortemente schiacciata ai poli, con peso medio molto elevato (intorno ai 300 g) e apireno.