La più antica citazione sugli agrumi è cinese. e risale a 4000 anni fa. Parla dell’uso votivo che si faceva dei frutti.
I diversi tipi di agrumi che oggi conosciamo derivano da almeno tre taxa principali: I cedri, i pummeli e i mandarini.
Questi, a loro volta, deriverebbero da un antenato comune che si sarebbe originato circa 20-30 milioni di anni fa, alla metà dell’era terziaria, in qualche regione del Sud-Est asiatico.
Le conquiste di Alessandro Magno, i Monsoni, la Diaspora, l’espansione dell’Islam, le Crociate, i viaggi commerciali in Oriente, la scoperta dell’America e altri numerosi eventi, contribuirono a propagare gli agrumi dalle loro aree originali in altre aree, dove le condizioni erano favorevoli per il loro sviluppo. Così arrivarono nel bacino del Mediterraneo e poi nel Nuovo Mondo con diverse specie e varietà. Gli agrumi hanno trovato un habitat ideale nel Mediterraneo e in particolare nello Ionio siciliano e calabrese………
La mia infanzia l’ho vissuta nel grande agrumeto di famiglia, ettari di bergamotto, limone e arancio nella valle del Calopinace, proprio sotto la villa costruita dal nonno Domenico a Reggio Calabria. I frutti venivano lavorati in vari modi: i bergamotti erano destinati alla produzione di essenza pregiatissima che veniva prodotta nella fabbrica sotto casa ed esportata in Francia ed Inghilterra, le arance e i limoni venivano messi in cassette e destinati ai mercati. I cedri e i mandarini venivano consumati in casa. Le arance e i cedri venivano anche lavorati per l’industria dei canditi per la pasticceria.
Tutti questi frutti che hanno la loro origine in Oriente sono arrivati nel Mediterraneo in varie epoche, e hanno contribuito a cambiare radicalmente il paesaggio dell’Italia meridionale, donando una grazia e un’eleganza unica alle coste e all’entroterra sopratutto di Calabria e Sicilia, e contribuendo alla creazione di ecosistemi particolari e molto ricchi di flora e piccola fauna, essendo sempre sviluppati nelle valli accanto ai corsi d’acqua. Dedicherò ad ognuno dei principali agrumi un post particolare.
Innamorato del paesaggio della mia Città, ne do una descrizione fatta dal viaggiatore inglese Edward Lear, nel 1847. Il 26 luglio, appena arrivato a Reggio, “…all’alba mi son preparato e ben presto mi son dondolato un po’ qui e un po’ là per cercare la migliore veduta, tra infiniti fichi d’India e sentieri di aloe, fichi e aranceti. Reggio è veramente un grande giardino e senza dubbio uno dei posti più belli che si possano trovare sulla terra. Un Castello quasi distrutto, bellissimo, pittoresco, domina la città, lo Stretto e il Mongibello coronato di neve più in là. Sotto le mura sono sparsi giardini di aranci, limoni, cedri e bergamotti, e tutto questo genere di frutta è chiamato dagli Italiani <Agrumi>…”.
Aggiungo un interessante contributo, tratto dal sito Culture e Colture, sui giardini storici.
Gli agrumi nei giardini storici di Addolorata Ines Peduto
L’arrivo in Sicilia dell’arancio amaro portato dagli arabi nei secoli X e XI segna l’inizio di una diffusione costante della coltura degli agrumi in Italia in quelle zone con favorevoli condizioni climatiche.
I testi cinquecenteschi fanno degli agrumi un raffinato motivo della giardineria ed un piacevole tema di conversazione nel clima rinascimentale e barocco: infatti, tra gli aspetti interessanti che caratterizzavano il mondo degli agrumi, vi era il collezionismo botanico.
La trattatistica cinque e seicentesca ci consente di individuare alcune tipologie classiche dei giardini di agrumi: la collezione delle piante in vaso, gli agrumi guidati a spalliera e a pergola, gli alberi a filare e a boschetto oppure isolati in aiuole. Agostino Gallo così descrive l’orto-frutteto-giardino di tradizione italiana: “La presenza dei vasi di cedri, di limoni e di aranci lo rende prezioso come la singolarità di un pergolato di limoni: queste rarità non sono per tutti, fanno del giardino un luogo dove mettere in mostra ciò che si distingue e fa meraviglia” (da Varoli Piazza 1995, pag. 363). Alle descrizioni dei trattati si possono aggiungere gli inventari che vengono redatti al momento della successione o della vendita del bene, per meglio comprendere la storia dei giardini di agrumi e mettere in evidenza che tra i motivi per cui questa tipologia di giardino è andata in disuso rimane quello principale dei costi per il governo delle piante e la manutenzione delle serre.
Un modello di spalliera e di pergola della fine del XV secolo ci viene tramandato attraverso la descrizione del giardino di Venere dalla Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna.
Alcuni dei più noti giardini di agrumi romani sono il giardino della Villa del Cardinale Bolognetti fuori Porta Pia, il giardino pensile all’interno di Palazzo San Marco a Roma, il Giardino del Belvedere in Vaticano, i giardini dei feudi farnesiani e Villa Grazioli a Grottaferrata.
Villa Borghese e Villa Doria Pamphilj riassumono, infine, attraverso ben quattro secoli di storia un repertorio delle modalità di coltivazione e utilizzazione di aranci, melangoli e limoni: a spalliera, a pergola, in vaso, a terra in piantate regolari.
il Giardino degli Aranci all’Aventino è il più antico d’Italia
Nel Hesperides, sive de malorum aureorum cultura et usu, volume pubblicato da Giovanni Battista Ferrari nel 1646, relativamente all’introduzione degli agrumi in Italia, i cedri sono stati introdotti in Lombardia, i limoni in Liguria e gli aranci in Campania.
Gli agrumi anno avuto una vasta diffusione nei giardini del veneto, introdotti nella seconda metà del Duecento dai francescani nel convento di Gargnano, sul lago di Garda, dove, oltre al clima particolarmente mite, era presente un ingegnoso sistema di serre smontabili. In seguito gli agrumi sono stati diffusi sulla sponda bresciana del lago e poi su quella veronese, dove crescevano in piena terra riparati in inverno da vetrate e tavole che erano sorrette da appositi pilastri in pietra, diventando parte integrante del paesaggio.
Dalle rive del Garda gli agrumi sono stati introdotti sulla terraferma; ne è un esempio il Giardino Giusti di Verona, realizzato tra il 1566 e il 1580 da Agostino Giusti sull’area posteriore del palazzo urbano della nobile famiglia veronese, incorporando l’antica cinta muraria teodoriciana a Nord ed una rupe ad Est, che garantivano agli agrumi una straordinaria protezione, come una vera e propria serra a cielo aperto.
Francesco Pona, che ha lasciato una dettagliata descrizione del Giardino Giusti, cosi scriveva: “Lungo il cammino che dolcemente conduce, con un percorso a zig-zag, ai piedi della rupe, si trova la “Reggia dei Fiori”, adorna sempre di tanta copia di Melaranci, di Limoni, e di Cedri, di fiori carichi in un tempo stesso, e di frutti parte verdi, e parte dorati, e di tanti Gelsomini” (da Azzi Visentini 1995, pag. 271). Vincenzo Scamozzi nella sua L’idea della architettura universale, pubblicata nel 1615, dedicava al giardino importanti osservazioni: “… il Cedro, il Limone, l’Arancio, il Pomo d’Adamo e l’Ulivo; i quali fanno preziosissimi frutti, e rendono gratissimo odore… possono essere coltivati in piena terra o in vaso, con le prime si ottengono spalliere, pergolati e altre architetture di verzura, o si fanno crescere liberamente” (ibidem, pag. 273). Nei commenti alle ville da lui ideate o ristrutturate Scamozzi ricordava presenza e dislocazione delle cedrare, che costituivano parte integrante dei giardini da lui progettati.
Lungo la Riviera di Salò, per rendere possibile la coltivazione degli agrumi in piena terra a queste latitudini, venivano costruite serre in muratura, coperte e chiuse con assi di legno: le limonaie.
“Tali limonaie, alcuna delle quali ha, a guisa di scalea, fino a otto o dieci serie di rialzi e di pilastri, guardandole dal lago ti danno l’aspetto d’anfiteatro, con migliaia di bianche colonne, aventi un aspetto ed un carattere singolarissimo e pittoresco” (ibidem, pag. 297) scriveva il Bettoni in La coltivazione degli agrumi nella Riviera del Lago di Garda (1877). L’agrumicoltura gardesana andò caratterizzando notevolmente il paesaggio, in special modo le limonaie, ricordate anche da Goethe durante una sua visita nel 1786.
A partire dal XVI secolo gli agrumi risultavano presenti in numerosi giardini lombardi, considerati non solo da un punto di vista produttivo ma anche decorativo.
Nel dialogo di Bartolomeo Taegio del 1559, in cui vengono trattati non solo gli aspetti agricolo-botanici, tecnico-colturali, ma anche quelli filosofici e culturali del vivere in Villa, vengono descritti numerosi giardini milanesi “…cortese et gentilissimo Signor Bernardo Trebbia, che nel mezzo del suo felicissimo giardino ha una fontana fabbricata per mano di Bramante, e fregiata da una giocondissima selva di aranzi, limoni, e cedri” (ibidem, pag. 302).
Caso particolare era la proprietà dei conti Borromeo sull’Isola Madre. Il giardino dell’isola era un Orto Botanico e gli agrumi vi erano coltivati fin dal 1400 con scopo sia decorativo che produttivo. Le piante in piena terra erano coperte per mezzo di una struttura lignea a doppio spiovente con capriata.
L’agrumicoltura gardesana raggiunse la massima espansione negli anni 1850-55 per poi decadere: il costo della mano d’opera e dei materiali, i contratti agrari per mezzadria, il diminuire del valore degli agrumi per la concorrenza del prodotto meridionale, la scoperta della formula per ottenere chimicamente l’acido citrico, il diffondersi della gommosi portarono all’abbandono della produzione. Il conseguente degrado e trasformazione delle limonaie, divenute elemento tipico del paesaggio, comportarono una alterazione dello stesso e la perdita della leggibilità dell’impianto storico dei giardini.
In Liguria sono numerose le testimonianze storiche di una rilevante presenza di coltivazioni di agrumi durante il Medioevo, tali da caratterizzare il paesaggio e l’economia agraria di alcuni tratti del litorale. Il Quaini nella sua analisi storica citava il Comune di Genova che intorno alla metà del ‘300 aveva utilizzato alberi di arancio per abbellire la piazza di San Tommaso (ibidem, pag. 219). La notorietà di San Remo, come centro di produzione di agrumi, traspare anche in alcuni documenti di archivio, da cui risulta che, nel 1359, ben 50.000 aranci erano stati trasportati ad Avignone, città dei Papi. Le testimonianze più numerose sulla presenza e sulla diffusione degli agrumi si hanno intorno al 1500. Nella sua Storia del paesaggio agrario italiano Emilio Sereni osserva: “… là dove, con le sue attività agricole l’uomo comincia ad imprimere, al paesaggio agrario, forme più coscientemente elaborate, la via è aperta ad una valutazione di queste forme che non è solo tecnica ed economica, ma estetica” (ibidem, pag. 217).
L’introduzione degli agrumi in Toscana era documentata già nel ‘300; il Boccaccio scrive nella terza cornice del Decamerone: “…era un prato di minutissima erba e verde tanto… chiuso dintorno di verdissimi e vivi aranci e di cedri, li quali, avendo frutti ed nuovi ed i fiori ancora, non solamente piacevole ombra agli occhi, ma anche all’odorato facevan piacere…” (da Varoli Piazza 1995, pag. 363). L’interesse di Cosimo I de Medici per gli agrumi è confermato da una lettera di Pierfrancesco Riccio al duca del 7 marzo 1551, e in un`altra lettera di Lelio Torelli del 1565, in cui risultava che il duca aveva fatto acquistare centosessanta melaranci dalle monache di Santa Felicita, monastero confinante con il giardino di Boboli.
Villa di Castello sembra destinata sin dall’origine alla coltivazione degli agrumi, più che altri giardini iniziati da Cosimo I. La testimonianza più significativa della coltivazione di agrumi a spalliera di dimensione grandiose è ancora oggi visibile nel giardino di agrumi che Cosimo II fece costruire nell`ambito dei lavori di ampliamento del Giardino di Boboli nel 1612. L’importanza della collezione medicea fu compresa a pieno da Pietro Leopoldo di Lorena, che nel 1778 fece costruire nel Giardino di Boboli una grande limonaia per accogliere in modo più razionale gli agrumi.
agrumeti storici, il Biviere di Lentini
In Sicilia la coltivazione degli agrumi risale all’età islamica, al X secolo. Gli agrumi furono importati nell’occidente mediterraneo dalla Siria e dall’Egitto, provenienti dall’India. La coltivazione degli agrumi progredì grazie ai sistemi d’irrigazione d’origine persiana adottati dai mussulmani siciliani. Questi ultimi, dopo la conquista della città di Palermo nell’831, impiantarono colture diverse, promuovendo lo sviluppo agricolo della piana palermitana grazie agli impianti idrici. L’acqua della falda freatica fu convogliata in una fitta rete di qanat, cioè di condotte sotterranee. A Palermo i giardini ed i parchi non nacquero ai margini di un deserto, ma in un ambiente naturale antropizzato, con qualificata e fiorente agricoltura. Ad evocare l’idea di giardino “paradiso” proprio della cultura islamica furono i mosaici della volta e delle parti alte delle pareti, della Sala detta di Ruggero, negli spazi più intimi della zona residenziale del Palazzo Reale di Palermo.
La tradizione partenopea è legata al giardino fruttifero. I poeti dell’antica Roma avevano cantato i giardini delle ville di Baia, ma è nel ‘500 che Napoli visse un momento di grande splendore come scrisse il Di Falco, la città è “… depinta e vestita da cotanti verdeggianti giardini…tanti arbori odoriferi de cedri et aranzi…” (da Tagliolini 1995, pag. 4).
Il disegno del Lanfranco raffigurante l’arrivo degli agrumi nel golfo di Napoli, riportato nella celebre opera Hesperides sive de malorum aureorum cultura et usu, testimonia il ruolo che le piante avevano nella vita partenopea. L’idea di giardino non era un privilegio delle ville ma anche delle terrazze degli edifici urbani nelle quali le piante di agrumi erano le preferite. I giardini della costa sorrentina e amalfitana, costruiti sui terrazzamenti, sono ancora oggi depositari di questa coltura.
Nel chiostro maiolicato di Santa Chiara, i pilastri ottogonali intonacati costituivano l’asse principale del cosidetto “grottone” degli agrumi, del quale Bernardo De Dominici scrisse: “…avendo abbellito il loro Chiostro interiore, ov’erano giardini…e varie sorte di Agrumi…”.
Attraverso l’architettura delle cedrare, delle aranciere e delle limonaie riscopriamo i segni del gusto di un’epoca.
L’indissolubile legame con i paesaggi d’acqua
L’acqua deve sempre essere presente laddove vengono coltivati agrumi, sia a scopo ornamentale sia a scopo produttivo.
La crescita degli agrumi ha sempre richiesto impianti di irrigazione sofisticati, che a seconda delle epoche e delle culture sono stati concepiti e realizzati con le più diversificate soluzioni ingegneristi- che. Gli agrumeti nelle oasi desertiche – i primi giardini – riservano ruoli e posizioni centrali ai pozzi da cui attingere l’acqua da portare manualmente al terreno da irrigare. L’acqua era elemento architettonico dei giardini di tradizione araba, e mediterranei poi, in cui gli alberi di aranci, cedri e limoni erano presenze costanti assieme a fiori di varie specie e alberi da frutto. La più evoluta tradizione araba di irrigazione dell’agrumeto è antichissima e basata sulla canalizzazione che in Arabia viene chiamata qanat/sajiya, in Sicilia e Calabria Saia, e che si avvale di cisterne all’aperto dette Jibiah, in Sicilia e Calabria Gebbie, rifornite da una sorgente, in un’ottica di risparmio di questa preziosa risorsa. Di questa antica modalità di somministrazione dell’acqua vi è traccia ancora in alcuni paesaggi agrumicoli dediti alla produzione di limoni e bergamotti. La sistemazione a colmi e solchi dell’agrumeto disegna una trama che, al momento dell’adacquamento, si trasforma in ordinati canali di scorrimento a cielo aperto per portare l’acqua, per scorrimento, infiltrazione o tracimazione, al piede delle singole piante all’interno di conche. Grazie a questa irrigazione salvifica, dopo un periodo di indotta siccità (è la tecnica della “forzatura”), le piante di limoni riprendono a fiorire per dare il pregiato limone Verdello. Il paesaggio degli agrumi si è tutto costruito sullo sforzo dell’uomo di controllare l’acqua nella quantità, nel percorso, nella qualità anche laddove non era disponibile. Proprio la preziosità di questa risorsa per la produzione di agrumi sarà nel Meridione all’origine di accordi, dispute e lotte per l’acqua tra i proprietari terrieri per il suo uso esclusivo e la creazione di un sistema irriguo a lungo inciderà sull’economia dell’agrumicoltura. Il paesaggio dell’agrumicoltura moderna continua a essere un paesaggio irriguo, ma oggi il legame del paesaggio con l’acqua ha perso molto della spettacolarità del passato e il depauperamento di questa risorsa ambientale impone sistemi di irrigazione a bassa portata – gli impianti a goccia –, sottochioma per evitare lo spreco della bagnatura fogliare, e anche nei giardini si incomincia a nascondere il consumo di acqua con gli impianti di subirrigazione.
Acqua: risorsa, fattore produttivo, paesaggio liquido
•L’acqua è un archetipo dei giardini in molte culture in quanto elemento simbolico di vita, piacevolezza, benessere, ma anche un elemento costitutivo di molti paesaggi agrari nei quali essa, e in particolare le sistemazioni e i dispositivi perla sua raccolta e somministrazione, divengono elementi caratterizzanti lo spazio coltivato. Così la rete dei canali caratterizza le fertili pianure bonificate del Centro-Sud Italia, i fossi e i canali continuano a disegnare l’antica centuriazione romana della pianura padana e l’acqua viene piegata alle azioni dell’agricoltore nelle campagne coltivate a riso.La modificazione dell’assetto del terreno e lo studio della regimazione delle acque da sempre sono esigenze dell’agricoltura. Tra le colture arboree – quasi tutte richiedono l’irrigazione per il raggiungimento di elevati standard qualitativi dei frutti –gli agrumi, piante che di per sé non sono in grado di resistere alla siccità, rappresentano un esempio di legame con questo elemento anche di singolare valenza architettonica e culturale
Paesaggi olfattivi
I profumi fanno parte dell’identità del giardino e del paesaggio e la loro fragranza aiuta a leggere e percepire i luoghi, oltre che a conservarne la memoria individuale. Ogni paesaggio ha almeno in un momento dell’anno il suo profumo: quello dell’erba tagliata, dei prati fioriti, dei frutti maturi, delle essenze, delle foglie, delle resine dei tronchi e tanti altri nel corso della sua trasformazione di stagione in stagione. Il “giardino d’agrumi” rappresenta una delle esperienze olfattive più forti a primavera, quando gli alberi sono in fiore e in alcune specie o varietà ancora carichi di frutti maturi o in via di sviluppo, un momento della trasformazione del paesaggio pervaso ovunque dall’essenza di agrumi, ma anche dall’odore del denso fogliame.Oggi il profumo delle essenze vegetali sta tornando a essere il tema di fondo della progettazione del giardino e tanti nuovi o restaurati “giardini e paesaggi olfattivi” incominciano a essere proposti e realizzati. Molti sono i luoghi dove il paesaggio d’agrumi è stato ripristinato per evocarne oltre che la bellezza, la fragranza.
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